Dott.ssa Luciana de Pinto
Superare il lutto
Sigmund Freud (1955) riteneva l’elaborazione del lutto come un’interpretazione dei fenomeni depressivi legati non solo alla persona amata, ma anche a quella di un oggetto interno significativo che rappresenta l’immagine interiorizzata di un altro essere umano. L’autore pone una correlazione tra i termini depressione, melanconia e lutto. Nel lutto la persona è conscia della perdita subita, ma inizialmente tenta di mantenere un legame con l’oggetto perduto. Solo dopo affronterà l’esame di realtà, disinvestendo limbicamente la persona assente. Nella melanconia la perdita risulta essere inconscia, ed è caratterizzata da un conflitto pulsionale (odio e amore) rispetto l’oggetto perduto. Lutto e melanconia sono caratterizzate da stati simili che comprendono: stati d’animo dolorosi, perdita di interesse per il mondo esterno e incapacità di investire in oggetti d’amore sostitutivi. Bowlby suddivide il modo di reagire alla perdita in quattro fasi che equivalgono allo stordimento, alla fase di ricerca e di struggimento per la figura defunta, alla fase di disorganizzazione e di disperazione e alla riorganizzazione. Nella prima fase, il soggetto che riceve la notizia di un lutto si sente frastornato, scioccato e stordito.
L’informazione può interrompere le routine quotidiane facendo emergere dolore e rabbia intensa. Durante la seconda fase, l’individuo è cosciente della perdita subita, prova angoscia, irrequietezza e rabbia. Successivamente si passa alla terza fase in cui il soggetto sperimenta il tormento emotivo, la disperazione e un’intensa rabbia contro tutti coloro che possano sembrare i responsabili. Solo se si supera questa fase si può passare alla riorganizzazione che permette di affrontare la situazione con consapevolezza di non poter far tornare indietro la persona defunta.
Bowlby, inoltre, identifica una correlazione tra lutto e tipo di attaccamento. Il lutto inibito sarebbe connesso ad un attaccamento evitante; la persona che possiede questo attaccamento e che affronta una perdita è una persona che non manifesta i propri stati emotivi poiché essi, in età infantile, sono stati repressi e scoraggiati. Nel lutto cronico si evince un
attaccamento ansioso ambivalente; il soggetto manifesta un legame simbiotico con il defunto e l’elaborazione del lutto è molto ardua poiché questi soggetti per tutta la vita nutrono il terrore di perdere gli affetti. Infine, nel lutto irrisolto si evince uno stile disorganizzato in cui il tipico comportamento ‘spaventato’ della madre genera uno stato mentale, che perdura e si riflette nell’elaborazione del lutto.
Secondo Elisabeth Kübler-Ross (1986) esistono alcune fasi per elaborare un lutto che non necessariamente seguono un ordine preciso, possono sovrapporsi, ripresentarsi o avere durata variabile da persona a persona. A seguito della comunicazione della notizia, il soggetto va incontro a quella che viene definita fase della negazione e del rifiuto, che è caratterizzata da sentimenti di incredulità, di shock, di irrequietezza, dove si può pensare che ci sia un errore di informazione o di diagnosi. Durante la fase della collera, il soggetto inizia a porsi domande come <<perché proprio a me?>>, <<cos’ho fatto di male?>>. Inoltre, sperimenta un senso di rabbia molto intenso che viene spesso rivolto nei confronti di una o più persone incolpate dell’evento, spesso possono essere famigliari o operatori sanitari. Successivamente si passa ad un patteggiamento in cui si scende a compromessi con qualcuno che può essere una figura spirituale, un famigliare, il personale sanitario o sé stesso. Ciò rappresenta un patto atto ad attenuare la sensazione d’assenza d’aiuto e il dolore della perdita. Nel momento in cui si giunge all’esame di realtà si arriva alla fase depressiva
caratterizzata da anedonia e disinteresse verso oggetti e persone. Infine, si passa all’accettazione in cui si assimila l’assenza.
Non sempre è possibile giungere alla completa accettazione, il lutto è doloroso, estenuante e pone il soggetto che lo affronta difronte a innumerevoli domande. Spesso, se l’individuo non è supportato, sostenuto, ascoltato e compreso può capitare che queste domande prendano il sopravvento generando veri e propri dubbi esistenziali. Se questi perdurano per almeno 12 mesi si parla di lutto complicato (o lutto non risolto) che si manifesta con pensieri ricorrenti e intrusivi circa l’assenza della persona deceduta, rabbia, amarezza e tendenza all’evitamento dei ricordi associati al dolore della perdita (APA, 2014). I soggetti che provano questi sentimenti pensano che la loro vita sia conclusa e temono di essere accompagnati dal dolore per sempre. Si può pensare che gioia, felicità ed entusiasmo siano atti di tradimento nei confronti del defunto. Il lutto irrisolto rappresenta un fallimento naturale del processo di elaborazione del tutto stesso che avviene a causa della caduta di miti, ideali, valori che non permettono la creazione di un senso di coerenza tra mondo pre-lutto e quello post-lutto. Al fine di superare questo periodo critico occorre significare, ossia attribuire nuovi significati all’esperienza per poter ricreare una coesione del sé ed un proseguo naturale della propria narrazione di vita.
Chi decide di sostenere una persona che sta elaborando un lutto deve essere dotato di grande empatia tale da poter comprendere come i pensieri e le emozioni siano inevitabili e inevitabilmente dolorose.
Dal punto di vista psicologico, un lutto può dirsi concluso quando le persone hanno integrato la perdita all’interno del percorso evolutivo, collocando nel passato le relazioni con il defunto, ricordandolo con nostalgia senza però rinunciare al proprio presente e alla progettazione del proprio futuro (Sbatella, 2013).