Dott.ssa Luciana de Pinto
Il trauma e il PTSD
Di fronte ad un pericolo imminente il corpo può reagire attraverso due azioni: l’attacco o la fuga. Questi due meccanismi sono mediati da complesse strutture a livello cerebrale che valutano quale sia il comportamento più idoneo da inscenare. Nel processamento di uno stimolo proveniente dall’ambiente esterno il nostro sistema cerebrale attiva due sistemi che sono stati identificati sotto il nome di Doppia via da parte del noto neuroscienziato Joseph LeDoux (1996). Lo studioso analizzò come di fronte ad uno stimolo che crea un’emozione intensa come la paura, sia coinvolto un circuito neuronale che comprende l’amigdala la quale sarebbe responsabile della reazione successiva all’esposizione dello stimolo stesso. L’amigdala fa parte di due vie, la prima via è detta via bassa (o breve) dove lo stimolo percepito dall’ambiente esterno è inviato ai nuclei talamici che a loro volta inviano l’informazione processata (pericolo o non pericolo) all’amigdala che tradurrebbe la sua risposta con delle attivazioni fisiologiche dirette ad organi quali polmoni, miocardio, scheletro, muscoli, etc. Questa azione rappresenta sempre la diretta conseguenza del processamento di un’emozione. Se l’amigdala non percepisce una situazione di pericolo imminente non attiverà la componente fisiologica poiché essa serve esclusivamente a preparare il corpo all’azione.
Nel caso in cui uno stimolo non sia percepito come pericoloso dal talamo passa per la corteccia cerebrale per poi giungere all’amigdala. Questa via è più lenta, razionale e sistematica. È utilizzata quando un evento o una situazione può essere processata ed assimilata a livello cerebrale senza dover assumere un impulso ad agire.
Questa teoria ha messo in luce come le emozioni giochino un ruolo fondamentale sia nelle risposte comportamentali sia nel processamento di uno stimolo stesso, se un evento è stato da subito percepito come terrificante, l’assimilazione dello stesso a livello cerebrale sarà un binomio evento X-terrificante. Lo studio di LeDoux è scientificamente importante per la psicologia perché permette di comprendere come un trauma possa dirsi tale solo quando è il ricordo della sua emozione a inficiare sulle performance quotidiane di un soggetto. Inoltre, permette di comprendere perché nell’elaborazione di trauma sia indispensabile la risignificazione delle emozioni.
Quando il corpo, così come la psiche, va incontro ad un’eccessiva stimolazione e ad un esaurimento delle sue energie è possibile che si manifestino disturbi di varia natura e divaria entità. All’interno del DSM-V (2014) sono citati tutti i possibili disturbi che possono verificarsi a seguito di stati di iperarousal indotto da eventi traumatici, di questi fanno parte: il disturbo reattivo dell’attaccamento, il disturbo da impegno sociale disinibito, il disturbo da stress acuto, il disturbo dell’adattamento e il disturbo da stress post-traumatico.
l DSM-V (2015) definisce il disturbo da stress post-traumatico come un disagio psichico conseguente all’esposizione di una morte reale o di una minaccia vissuta in prima persona o da spettatore che si sia verificata una o più volte. Al fine di diagnosticare questo disturbo occorre valutare la presenza di sintomi di intrusivi, sintomi dissociativi, sintomi di evitamento e di iperarousal che perdurino da minimo 3 mesi; se i sintomi perdurano dai 3 giorni a 1 mese si parla invece di disturbo da stress acuto. L’APA definisce come sintomi intrusivi i ricordi ricorrenti, i flash back, le reazioni dissociative, gli incubi notturni e le risposte fisiologiche dovute a fattori scatenanti che ricordino per qualche aspetto l’evento traumatico. I sintomi evitanti comprendono l’evitamento di situazioni, ricordi pensieri, sentimenti e persone associate all’evento. Mentre le alterazioni negative comprendono l’amnesia dissociativa, le convinzioni erronee su sé stessi, i pensieri distorti con annesso
senso di colpa e l’incapacità di sperimentare emozioni positive. I soggetti con PTSD presentano una marcata alterazione dell’arousal con conseguenti esplosioni di rabbia (verbale e/o fisica), ipervigilanza, esagerate risposte di allarme, problemi di concentrazione e difficoltà nel sonno. Al fine di diagnosticare un PTSD occorre che i sintomi non permettano al soggetto di condurre le sue routine quotidiane e che l’aspetto lavorativo e sociale siano compromessi. Questo disturbo può diventare invalidante condizionando la vita di tutti i giorni, i rapporti interpersonali e l’attività professionale del singolo.
Il supporto nei casi di PTSD comprende un percorso psicoterapico che può essere accompagnato anche da un supporto farmacologico. Le terapie maggiormente usate nei casi di PTSD sono la terapia di esposizione prolungata (Prolonged Exposure Therapy, PE), la terapia di elaborazione cognitiva (Cognitive Processing Therapy, CPT), e l’EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing). La Prologed Exposure Therapy per il PTSD è stata ideata da Edna Foa (Foa et al, 2007) e prevede dalle 10-14 sedute da 90 minuti ciascuna. Questa terapia comprende alcuni moduli: rivisitazione ripetuta dei ricordi del trauma (esposizione immaginale), esposizione ripetuta a situazioni evitate (esposizione in vivo), homework e riqualificazione respiratoria. La PE ha il compito di far rivivere il trauma al paziente nel qui ed ora al fine di poter elaborare emotivamente ciò che è accaduto. La riqualificazione della respirazione invece è una tecnica che mira a ridurre l'eccitazione fisiologica concentrandosi sulla respirazione lenta, ritmica e rilassata. Questa abilità viene insegnata nelle prime fasi del trattamento della PE perché è uno strumento che i pazienti possono utilizzare immediatamente per alleviare i sintomi dell'ansia. Revisioni complete della letteratura scientifica e delle metanalisi hanno documentato l'efficacia della PE per il trattamento del disturbo da stress post-traumatico nei militari e nei veterani (Peterson, 2019).
La Cognitive Processing Therapy (CPT) agisce sulla paura del paziente andando ad analizzare le credenze erronee circa l’evento traumatico (Montanaro, 2019). Ad esempio, una donna che si ritiene colpevole del proprio stupro poiché la sera dell’accaduto indossava un abito rosso. Il senso di colpa è dovuto ad una credenza sbagliata poiché l’atto sarebbe avvenuto anche se l’abito fosse stato blu o se la donna avesse indossato una tuta da ginnastica.
Gli obiettivi della CPT sono principalmente due: modificare pensieri, opinioni, regole e credenze profonde affinché diventino più realistiche e funzionali ed evitare l’evitamento di situazioni che potrebbero rievocare alla memoria l’accaduto (Schwartz, 2016). Per questo la CPT prevede il ritorno sul luogo dell’evento e la rievocazione di suoni, odori, elementi visivi, pensieri ed emozioni. Il paziente deve narrare e ricordare più volte, e infine deve considerare i momenti peggiori dell’evento che saranno narrati più volte nei dettagli fino a quando i livelli di sofferenza non diminuiranno. La CPT centrata sul trauma ha prodotto degli effetti comparabili a quelli ottenuti con l’utilizzo della tecnica EMDR (Shapiro, 2012). Quest’ultima rappresenta lo strumento maggiormente utilizzato in questi anni. L’EMDR (o Eye Movement Desensitization and Reprocessing) è una tecnica di desensibilizzazione e di rielaborazione attraverso i movimenti oculari (Hackenthal, 1990). Questa è molto usata nei soggetti che hanno subito gravi traumi e che possono manifestare un disturbo da stress post-traumatico. Inoltre, è stata validata dall’American Psychological Association, dall’American Psychiatric Association, dall’International Society for Traumatic Stress Studies e dal Ministero della salute italiana. Durante l’EMDR il paziente si focalizza sul ricordo di un’esperienza mentre il professionista innesca dei rapidi movimenti oculari destra/sinistra atti a desensibilizzare la componente emotiva annessa al ricordo traumatico. Attraverso alcune sedute i ricordi vengono completamente desensibilizzati, riducendo nel paziente i pensieri intrusivi e le emozioni ricondotte all’evento traumatico.